Il tuo Brand Mark sta potenziando o danneggiando il tuo business?
Ecco 2 errori cognitivi che non permettono a imprenditori e operatori del settore di saperlo.
L’imprenditore è il primo responsabile del proprio Brand. La maggior parte delle persone che fanno impresa o si occupano di comunicazione e marketing è consapevole di quanto sia vitale possedere una Brand Mark efficace nel suo linguaggio visivo e in linea con i valori aziendali.
Prima di continuare, facciamo un piccolo passo indietro, visto che, molto spesso, viene fatta confusione sui termini specifici relativi al branding.
Che cos’è un Brand Mark:
È il numero minimo di elementi visuali e testuali utili a comunicare il posizionamento di un’azienda o di una persona, nella mente di un osservatore.
Complicato? Andiamo un passo alla volta. Questi sono tutti gli elementi che potrebbero comporre un Brand Mark, ma non è detto che uno specifico Brand Mark sia composto dalla totalità di essi.
Naming
Il nome dell’azienda stessa. Non la grafica con cui è rappresentato, ma la parola. Ad esempio Fedex.
Payoff
Il payoff, o tagline, rappresenta in una brevissima frase lo spazio mentale che l’azienda o la persona deve occupare nella mente del consumatore/cliente (anche detto: posizionamento). Es. Google, organizing the web.
Logo
La scritta, intesa come elemento grafico, che manifesta il Naming. Colore Tutti i colori presenti.
Marchio
Il simbolo grafico che rappresenta l’azienda.
Font
La tipografia utilizzata nel Brand Mark.
Logotipo
Un logo che, per sua concezione grafica, di norma caratterizzata dall’unicità, rappresenta l’azienda stessa. Di norma, se si possiede un logotipo non è necessario avere un Marchio all’interno del proprio Brand Mark.
Questo l’elenco. Ora, un Brand Mark, attraverso l’uso di questi elementi, deve riuscire a comunicare quanto più possibile sul suo posizionamento, aggiudicandosi lo spazio mentale che vuole occupare nella mente del suo target.
- Settore di mercato/Cosa fa l’azienda
- Perché l’azienda è differente
- Modello valoriale
Quindi, un Brand Mark deve SEMPRE esprimere tutto questo? No. Perché più un’azienda è conosciuta meno elementi occorrono perché essa si manifesti nella mente di un osservatore.
La M di McDonald, basta per raccontare McDonald. Perché nella mente dell’osservatore il Brand McDonald è altamente posizionato.
Al contrario, più un Brand è nuovo sul mercato, più è necessario che il suo Brand Mark sia completo nella sua narrazione, perché non vi sono pre-informazioni nella mente dell’osservatore.
La formula è semplice: BRAND MARK + Informazioni pregresse nella mente dell’osservatore = Posizionamento Azienda.
Per poter operare in modo consapevole, tempestivo e chirurgico, a vantaggio del proprio business, imprenditori e/o professionisti devono tutelare e conoscere lo stato della propria identità aziendale. Per farlo, l’imprenditore può iniziare ponendosi alcune domande.
Il mio Brand Mark è tecnicamente ben sviluppato?
Il mio brand Mark esprime il mio posizionamento?
Quali sono i suoi punti di forza e i suoi punti deboli?
Il mio Brand Mark esprime correttamente i valori dell’azienda?
Quali macro o micro miglioramenti posso apportare?
Queste sono alcune delle domande più rilevanti che ogni imprenditore deve porsi per avere il controllo della propria attività.
Ma attenzione:
Ci sono dei bias cognitivi che, se non presi in considerazione, influenzeranno il giudizio dell’imprenditore, come anche quello dei suoi collaboratori.
Un bias, infatti, è un “truffatore” del giudizio razionale. Il nostro cervello, in alcune situazioni, allo scopo di semplificare il processo di elaborazione, ragiona in “economia di risorse”, creando delle scorciatoie di processo quando è chiamato a fare una valutazione.
Queste “scorciatoie” ci permettono di formulare un giudizio con un minor numero di cicli di ragionamento. Decisamente utile, ma il prezzo da pagare è, a volte, una scarsa veridicità del risultato.
Ecco due bias che stanno modificando la percezione di molti imprenditori e professionisti riguardo la propria immagine aziendale:
1. Effetto Pasta della Mamma
Le persone entrano più volentieri in relazione con quello che già conoscono, piuttosto che con qualcosa di nuovo. Sono infatti più disponibili ad abbassare le loro difese (come lo scetticismo) in un ambiente familiare.
Immaginate un uomo preistorico nella sua caverna. La sua sensazione di “familiarità” corrisponde a un senso di “sicurezza”, questo gli consente di abbassare il suo livello di guardia. In questo modo vengono risparmiate preziose energie ad un cervello che, in alternativa, sarebbe sempre all’erta verso il pericolo.
Ma c’è di più: in alcuni casi, la piacevolezza del “riconoscere” supera anche il valore intrinseco di quello con cui ci si sta relazionando. Una brutta caverna, può essere percepita come meravigliosa, quando la “familiarità” la porta a essere, semplicemente, “casa”.
La pasta della mamma è sempre più buona. Perché la RI-conosciamo. Se non fosse così, ogni madre italiana farebbe la pasta più buona del paese.
Per questo, più un Brand è affermato, e quindi si vede con frequenza, più le persone lo reputeranno inconsapevolmente piacevole alla vista.
Totalmente normale: chi si occupa di comunicazione lo sa bene e si adopera di continuo perché la frequenza di visualizzazione del marchio aziendale, sul segmento di mercato, aumenti.
La percezione di piacevolezza di un Brand, aumenta con la frequenza con cui questo viene visualizzato. La piacevolezza legata alla familiarità diviene, tuttavia, un elemento decisamente dannoso quando l’imprenditore, o il suo team, viene chiamato ad una osservazione critica del proprio Brand.
L’imprenditore e i suoi collaboratori, vista la fisiologica situazione di altissima esposizione al Brand, sono i meno indicati a giudicare la propria immagine istituzionale. La fortissima familiarità influisce in modo incisivo sul giudizio, dando l’impressione che il Brand sia più piacevole di quello che realmente è per gli tutti gli altri osservatori.
Chi, come me, ha lavorato nel mondo del Branding sa perfettamente che anche Re-Branding di altissimo profilo, premiati dal mercato e dalla letteratura di settore, in una fase iniziale, verranno criticati da alcuni collaboratori più conservatori: “non era meglio quello di prima?”.
Questo è totalmente normale. Anzi, denota una forte affezione del collaboratore nei confronti del Brand e dell’azienda stessa.
Passato un poco di tempo, la tendenza sarà quella di dare valore progressivo al nuovo Brand. Che “sostituirà” in affezione, quello precedente, andando così a ricreare l’effetto “Pasta della Mamma”.
2. Effetto Ikea
A differenza dei competitor che vendono preassemblati, Ikea ha deciso di far “lavorare i propri clienti”. Pare che questo porti il consumatore ad attribuire più valore al mobile da lui costruito. In esso, infatti, sono confluiti i suoi stessi sforzi.
Quanto più tempo, fatica e denaro, le persone investono in qualcosa, tanto maggiore è il valore che gli attribuiscono.
Un imprenditore proietta nel suo Brand, anche il lavoro, il tempo e il denaro che ha investito in esso. Sono proiezioni naturali, difficilmente conscie, ma un imprenditore deve essere consapevole che sono del tutto estranee alle persone per lui davvero importanti: i suoi clienti.
Per loro il Brand è nudo e crudo, nei suoi difetti di progettazione, e nelle sue incoerenze comunicative.
Quindi, a causa di questi due bias, l’imprenditore è portato per sua natura a sopravvalutare l’efficacia del proprio Brand Mark e sottovalutare la potenziale efficacia di un cambiamento.
Proprio per questo motivo, noi di Baasbox abbiamo deciso di creare il primo servizio di Brand Mark Analysis. Uno strumento estremamente semplice, quanto efficace, per dare agli imprenditori e agli operatori di settore un primo quadro oggettivo della situazione del loro Brand.
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